venerdì 16 dicembre 2011

1.200.000 FIRME PER IL REFERENDUM. MA SERVIRANNO?

Nel mese di settembre, con una attività frenetica che ha trovato pronta rispondenza in una opinione pubblica sempre più suggestionata dall’antipolitica, sono state raccolte più di 1.200.000 firme sulle due richieste di referendum abrogativo della Legge 21 dicembre 2005 n. 270.
Si tratta della vigente legge elettorale, ormai universalmente conosciuta come “porcellum”. I difetti di tale legge sono ben noti. In primo luogo la soppressione dei collegi uninominali e la mancata previsione del voto di preferenza ha tolto all’elettore qualsiasi possibilità di scegliere i suoi rappresentanti ed ha eliminato ogni legame politico del parlamentare con il territorio. Deputati e senatori sono nominati dai vertici dei partiti, in quanto vengono eletti solamente in virtù dell’ordine in cui sono posizionati nelle liste, ordine che è deciso dai partiti. Inoltre, il premio di maggioranza, così come previsto per la Camera dei Deputati, dà una palese sovrarappresentazione alla coalizione vincente; di contro, il premio di maggioranza previsto per il Senato, strutturato su base regionale, non funziona, in quanto i vari premi regionali si neutralizzano a vicenda. Di conseguenza non può con sicurezza essere garantita una chiara maggioranza nell’ambito dell’assemblea.
Si tratta di una legge sconclusionata, che non piace a nessuno, tranne che ai capipartito, che vedono esaltato e dilatato a dismisura il loro potere. Non a caso il suo stesso ideatore, il ministro Calderoli, ebbe a definire questa legge una “porcata”.
La legge è anche, almeno in parte, responsabile del discredito che, negli ultimi anni, ha colpito la politica e le istituzioni e che ha pochi eguali nei paesi dell’Unione europea.
Il numero dei sottoscrittori delle due richieste di referendum credo abbia ben pochi precedenti ed è tanto più significativo se si pensa al periodo brevissimo, ed ancora a ridosso della stagione estiva, in cui le firme sono state raccolte.
Ma ciò non garantisce affatto che il referendum si possa svolgere.
Il referendum è disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione. Esso ha carattere abrogativo ed è escluso “per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.
L’articolo 75 prevede la possibilità di sottoporre al corpo elettorale, la richiesta di referendum abrogativo, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge (un decreto legge o un decreto legislativo). Il referendum è volto, quindi, a privare di efficacia un atto normativo.
Potendo il referendum essere anche parziale, nella prassi, si sono talora avuti quesiti referendari che, attraverso l’abrogazione di singole parole o di singole frasi arrivavano a mutare radicalmente il significato di una o più norme. Il referendum, quindi, nato come abrogativo, si è talora trasformato in manipolativo ed ha sostanzialmente proposto all’esame ed alla approvazione degli elettori una norma che disciplinava in modo diverso un determinato istituto.
L’articolo 2 della Legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 1 prevede che compete alla Corte costituzionale “giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell’articolo stesso”.
In altri termini, non basta che, su un quesito referendario, si raccolgano le firme in numero sufficiente; occorre anche che il quesito sia dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale. Di tale competenza, non prevista dall’articolo 134 della Costituzione ed introdotta nel 1953 con legge costituzionale, la Corte ha fatto un uso tale da modellare l’istituto referendario in modo assai innovativo. Si è ritenuto che ci si trovasse di fronte ad una sorta di integrazione della Costituzione.
Con la sentenza 7 febbraio 1978 n. 16, la Corte, infatti, abbandonò l’interpretazione letterale dell’articolo 2 della Legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 1 per aprire, di fronte al moltiplicarsi delle richieste referendarie, ad una interpretazione sistematica dell’ammissibilità, che orienterà tutta la sua giurisprudenza successiva.
Secondo la Corte, l’elenco di cause di inammissibilità del referendum, previsto dall’articolo 75, non è rigorosamente tassativo, ma presuppone una serie di cause di inammissibilità inespresse, ricavabili dall’intero ordinamento costituzionale del referendum abrogativo.
Particolarmente significative, sotto il profilo dell’ammissibilità delle richieste, sono le sentenze in materia elettorale (complessivamente tredici fra il 1991 e il 2008).
La Corte, riconducendo le leggi elettorali nella categoria delle leggi costituzionalmente obbligatorie, ha consentito di assoggettare a referendum abrogativo parziale (si veda, ad esempio, la sentenza 10 febbraio 1997 n. 26) anche le norme sull’elezione degli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla condizione che restasse in vigore una normativa complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in qualsiasi momento, dell’organo rappresentativo.
In conclusione, anche se la Corte ha ritenuto ammissibili, in materia elettorale, referendum fortemente manipolativi, capaci di modificare, attraverso l’abrogazione di singole parole, il significato complessivo della disposizione, resta il vincolo della necessità della sopravvivenza, dopo che sia stata utilizzata la tecnica del ritaglio, di una normativa di risulta in grado di essere applicata senza interventi integrativi da parte del legislatore.
Facendo applicazione di tali principi (per i quali si è parlato di una “dottrina” della Corte Costituzionale in materia di referendum elettorali) le due richieste di referendum dovrebbero essere ritenute inammissibili. Consapevoli di tale rischio, i promotori del referendum, tra i quali si annoverano illustri costituzionalisti, sostengono la tesi della reviviscenza delle precedenti leggi elettorali (quelle che, nel loro insieme, furono definite “mattarellum”, dal nome del suo ideatore, è cioè le Leggi 4 agosto 1993 n. 276 e n. 277).
Dottrina e giurisprudenza, tuttavia, non sembrano riconoscere in modo generalizzato il fenomeno della reviviscenza, ritenendo che l’abrogazione di una norma abrogativa non provochi automaticamente il ripristino delle precedenti norme già abrogate, salvo espressa previsione ad opera dello stesso legislatore, sulla base del principio “abrogata lege abrogante, non reviviscit lex abrogata”.
Ciononostante, il fenomeno della reviviscenza è stato talora riconosciuto dalla giurisprudenza come naturale conseguenza in caso di dichiarazione di incostituzionalità di una norma abrogativa (Cass., 6 agosto 2009, n. 18054; in senso contrario, Cass., 14 ottobre 1988 n. 5599).
Dal canto suo, la Corte costituzionale, nella recentissima sentenza 26 gennaio 2011 n. 24, relativa all’ammissibilità del quesito referendario sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica (il referendum sull’acqua, tanto per intenderci), ha affermato che, dalla abrogazione dell’articolo 23 bis del D.L. 25 giugno 2008 n . 112, sottoposto a referendum, non sarebbe conseguita “alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo”.
La legge “mattarellum”, già utilizzata nelle elezioni del 1994, 1996 e 2001 è certamente migliore del “porcellum”: consente agli elettori la possibilità di scelta e, unendo il carattere maggioritario insito nel sistema dei collegi uninominali al recupero proporzionale per una quota ridotta del 25 per cento, sembra sufficientemente adatta al sistema politico italiano.
Tuttavia, il cammino per ritornare, attraverso il referendum, a tale sistema elettorale che, pur non perfetto, è certamente più apprezzabile del famigerato “porcellum”, appare decisamente impervio.
Un’ultima considerazione. Come nel 1991 e nel 1993 la strada del referendum, per quanto impervia, appare oggi l’unico strumento in mano ai cittadini per imporre nell’agenda politica il cambiamento dell’attuale legge elettorale, che ha spezzato il rapporto tra elettori ed eletti, sostituendo a questi ultimi un Parlamento di nominati.
Di fronte ad una riforma in pejus come quella costituita dal “porcellum”, sotto il profilo costituzionale il referendum finisce per apparire come l’unico strumento costituzionale utilizzabile dagli elettori, per rivendicare l’effettività della loro sovranità, ripristinando la democraticità del sistema.Alla Corte costituzionale, l’ultima parola.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel mese di ottobre 2011)

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