venerdì 8 ottobre 2010

UNA PROPOSTA PER LA FONDAZIONE

Dai primi di agosto, ormai, le vicende relative alla Fondazione “Città di Cremona” tengono banco nel dibattito politico locale.
Le polemiche si sono susseguite ed hanno assunto contorni non sempre chiari e comprensibili. Con l’usuale mentalità complottistica, si è iniziato a parlare, come era prevedibile, di retroscena e di poteri forti (la P2 e i servizi deviati, per fortuna, non sembrano ancora essere coinvolti).
In realtà, le polemiche politiche (che non mi interessano e in cui non voglio entrare) hanno, in concreto, alzato una cortina fumogena che ha avuto il risultato di nascondere i nodi istituzionali che la vicenda della trattativa per l’acquisto del complesso immobiliare di Palazzo Fodri ha messo drammaticamente a nudo.
Ignoro come, nel 2003, si sia pervenuti a stendere il testo dello Statuto della Fondazione, che è la “lex specialis” che regola l’intera vita dell’ente, dato che le norme contenute nel codice civile e nella legislazione statale e regionale sono assai limitate e frammentarie (D. Lgs. 4 maggio 2001 n. 207 e L.R. 13 febbraio 2003, n. 1).
Ma sono fermamente convinto della assoluta e totale inadeguatezza dello Statuto della Fondazione.
Il patrimonio della Fondazione è pubblico, sia in quanto destinato a scopi di utilità pubblica come quelli socio-assistenziali, sia perché la Fondazione nasce dalla fusione di quattro istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, la cui natura pubblicistica era stata definita dalla Legge 17 luglio 1890 n. 6972 (si tratta della legge “Crispi”, che laicizzò la beneficenza, sino ad allora in mano alla Chiesa ed ai privati). Di contro, la Fondazione è un ente di diritto privato. Le uniche forme di controllo sulla stessa sono quelle previste dall’articolo 25 del codice civile (controllo dell’autorità governativa, nel nostro caso da identificarsi con la Regione) e dall’articolo 18 del D. Lgs. 4 maggio 2001 n. 207 (comunicazione alla Regione degli atti di dismissione degli immobili, finalizzata all’esercizio, da parte del Pubblico Ministero, dell’azione di annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge o allo Statuto).
Lo Statuto della Fondazione deve perciò essere opportunamente modificato, per consentire che le scelte della Fondazione stessa siano coordinate con le politiche del Comune di Cremona.
Secondo il preambolo dello Statuto, “La Fondazione opera nell’ambito degli indirizzi stabiliti dalla programmazione sociale territoriale d’intesa con il Comune di riferimento e in sinergia con gli altri soggetti Istituzionali e sociali che costituiscono la rete del welfare locale, con l’obiettivo di contribuire al potenziamento e alla qualificazione del sistema territoriale dei servizi e degli interventi, anche promuovendo opportunità di sviluppo attraverso nuovi progetti ed investimenti”.
Tali parole, tuttavia, per usare una icastica espressione di Ernesto Rossi, famoso polemista degli anni cinquanta e sessanta, sono “aria fritta”. Ad esse, infatti, non corrisponde nessuno specifico obbligo della Fondazione nei confronti del Comune.
Alcune modifiche statutarie appaiono perciò, alla luce dei recenti avvenimenti, ineludibili.
In particolare, dovranno essere previsti una serie di atti che la Fondazione avrà l’obbligo di trasmettere al Comune, affinché questo, ove si rendesse necessario, possa sollecitare alla Regione l’esercizio dei poteri di vigilanza che le competono. Fra tali atti non potranno non essere ricompresi i bilanci (preventivi e consuntivi) della Fondazione. Oggi, infatti, i bilanci della Fondazione sono segreti, in quanto i bilanci stessi, secondo il Regolamento regionale 2 aprile 2001, n. 2 (che ha istituito, ai sensi dell’articolo 7 del D.P.R. 10 febbraio 2000 n. 361, il Registro regionale delle persone giuridiche private, tenuto dalle Camere di Commercio) non fanno parte degli atti che devono essere iscritti in tale Registro.
Sono, poi, dell’avviso di non consentire alla Fondazione la costituzione di società di capitali o la partecipazione nelle stesse. Soprattutto perché, come ho già avuto modo di chiarire su queste stesse colonne, con la cessione delle quote di una società cui possono essere conferiti gli immobili si eluderebbero le norme (il già citato articolo 18 del D. Lgs. 4 maggio 2001 n. 207) che attribuiscono alla Regione un controllo sulle dismissioni degli immobili costituenti il patrimonio delle Fondazioni derivanti dalla trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (non risulta, infatti, che, della dismissione di quote di società, la Regione debba essere notiziata).
Non è da escludere, poi, che la costituzione di una società possa prestarsi alla realizzazione di operazioni di elusione fiscale.
Come è noto, secondo la giurisprudenza più recente (si veda, da ultimo, la sentenza della Corte di Cassazione in data 26 febbraio 2010 n. 4737), in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, applicabile anche ai tributi non armonizzati in sede comunitaria, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
Resta da dire delle modalità con cui lo Statuto della Fondazione potrebbe essere modificato.
E’ lo stesso Consiglio di Amministrazione della Fondazione che è competente per le modifiche statutarie. Si potrebbe, quindi, pensare, da parte di qualcuno, che ben difficilmente la Fondazione farebbe hara kiri, riducendo il proprio potere, oggigiorno pressoché assoluto.
Ma il Comune ha, comunque, due potenti strumenti di “moral suasion” per spingere la Fondazione ad adottare le necessarie modifiche statutarie.
Innanzitutto gli amministratori della Fondazione sono nominati dal Sindaco del Comune di Cremona che, quindi, su un piano puramente politico, ha certo il potere di vincolare le nomine alla adozione delle modifiche statutarie. Secondariamente, sempre secondo lo Statuto, il Comune deve necessariamente esprimere un parere sulle proposte di modifiche statutarie.

* * *


Non mi illudo, tuttavia, che queste mie note, dettate da elementare buon senso (quello che ha ispirato il “buon governo” di tanti amministratori del passato), troveranno udienza. La politica locale segue logiche che sempre più mi sfuggono e non riesco a comprendere.
E poi, ad onta di più di quattro decenni di esperienza professionale, soprattutto nel campo del diritto pubblico, ho un grave ed ineliminabile difetto: sono cremonese (e non milanese, bresciano, mantovano, parmense), in una città in cui, per essere esperti, bisogna essere, prima di ogni altra cosa, forestieri.
Paradossi del provincialismo.

(articolo pubblicato sul quotdiano "La Cronaca" nel settembre 2010)

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