venerdì 8 ottobre 2010

UN NUOVO LOOK PER LA VECCHIA SIGNORA

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 novembre 2007 dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, è finalmente entrato in vigore il 1° dicembre 2009, con notevole ritardo rispetto alle previsioni originarie.
Il Trattato di Lisbona deriva direttamente dal Trattato costituzionale europeo, firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e non è particolarmente diverso nel testo, tanto è vero che Giscard d’Estaing (Presidente della Convenzione che aveva elaborato il Trattato costituzionale) ha rilevato, in più circostanze, che le differenze fra i due trattai sono solo “cosmetiche”.
Il Trattato costituzionale, a seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi, non entrò mai in vigore. Ma, sulla base di esso, fu predisposto un nuovo testo di Trattato, che fu firmato appunto a Lisbona il 13 dicembre 2007.
Anche sul processo di ratifica del Trattato di Lisbona non sono mancate difficoltà, come un primo referendum negativo in Irlanda ed il rifiuto, protrattosi a lungo, dei Presidenti della Polonia e della Repubblica ceca, di firmare la ratifica approvata dai rispettivi Parlamenti.
L’Italia ha provveduto alla ratifica con la Legge 2 agosto 2008 n. 130. E’ da ricordare anche come il Tribunale costituzionale federale tedesco abbia rilevato la sostanziale mancanza di legittimazione democratica delle istituzioni europee, subordinando ulteriori progressi del processo di integrazione ad un incremento dei fondamenti democratici dell’Unione. Il Tribunale tedesco, quindi, ha pienamente colto che il Trattato di Lisbona, mentre tende ad avanzare verso l’inesorabile processo costituente europeo, arretra allo stesso tempo, nella speranza di fugare le “fobie anti-europeiste” presenti in alcuni Stati membri.
Come già si è detto, la maggior parte delle innovazioni contenute nel Trattato costituzionale si ritrovano anche nel Trattato di Lisbona.
Mi soffermerò rapidamente su alcune delle novità più significative. E’ stata attribuita, in primo luogo, una personalità giuridica unica all’Unione europea (il termine “Comunità” è sostituito ovunque dal nuovo termine “Unione”): in altri termini, all’Unione è attribuita la soggettività giuridica internazionale, con il conseguente diritto di stipulare accordi con gli Stati terzi e le organizzazioni internazionali.
Il Consiglio europeo, da organismo informale, è stato trasformato in una istituzione vera e propria, con un proprio Presidente stabile, eletto per due anni e mezzo, mandato rinnovabile per una sola volta.
Questa è l’innovazione alla quale i mezzi di informazione hanno prestato maggiore attenzione. La scelta per la nuova carica di Presidente del Consiglio europeo è caduta sullo scialbo ed incolore ex Primo ministro belga Herman Von Rompuy. In questo modo è stato sciolto, almeno per il momento, il dilemma lasciato aperto dal Trattato, se cioè il Presidente del Consiglio europeo dovesse essere, per usare una terminologia inglese, un “chairman” ovvero un “president”. “Chairman” è, infatti, colui che convoca e presiede le riunioni, mentre al “president” viene attribuito un ruolo di impulso e di guida, di “leadership”, insomma, sempre per usare un termine della lingua inglese.
Non v’è dubbio, infatti, che Von Rompuy sarà un semplice “chairman”.
Il Trattato di Lisbona ha poi introdotto la figura di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è, contemporaneamente, Vice Presidente della Commissione.
Viene, infine, rafforzato il ruolo del Parlamento europeo. Il Trattato, infatti, prevede una generale estensione del ricorso alla procedura di codecisione (di Parlamento e Consiglio dei Ministri, su proposta della Commissione), con voto a maggioranza qualificata, che diventa la procedura legislativa ordinaria dell’Unione.
Tenendo conto della quantità di materie che ormai sono regolate dall’Unione europea, non potrà più dirsi, quindi, che il Parlamento europeo è un organismo privo di poteri.
Da ultimo, qualche considerazione giuridica.
Per usare le parole di un illustre costituzionalista, Giuseppe F. Ferrari, soprattutto con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, “nell’ambito delle discipline giuridiche il diritto comunitario, o come sarebbe forse più corretto dire il diritto dell’Unione europea non rappresenta più l’ultimo arrivato, una specie di parvenu nel consesso dominato da monumenti istituzionali quali il diritto costituzionale o quello civile, o quello amministrativo, ma costituisce a tutti gli effetti un settore di ricerca nel quale si uniscono la prossimità della stessa con esigenze pratiche sempre più rilevanti e l’interesse teorico di conoscere nelle sue linee portanti un insieme di norme e di istituzioni che presenta forti caratteri di novità. Sembrano lontani anni luce i tempi nei quali il diritto comunitario era una parte del diritto internazionale pubblico” (dalla prefazione al recente volume “Il diritto comunitario tra liberismo e dirigismo”).
Che cosa sia oggi l’Unione europea, lo spiega ancora Giuseppe F. Ferrari affermando che le istituzioni europee si sono evolute in maniera tale da dare luogo ad un ordinamento giuridico che presenta caratteri fortemente originali e tale da non essere riconducibile a nessuno dei modelli (Stato federale o organizzazione internazionale) che solitamente si usano per inquadrare gli organismi che esercitano pubblici poteri e che creano o applicano norme giuridiche. Sarebbe in effetti difficile oggi inquadrare pienamente il ruolo delle diverse istituzioni dell’Unione europea, come organi di uno Stato federale, sia pure in embrione, piuttosto che come strutture proprie di una organizzazione internazionale, dotata di ampi poteri.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nell'aprile 2010)

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