venerdì 1 ottobre 2010

REFERENDUM, ULTIMA CHANCE

Il prossimo 21 giugno, contestualmente al secondo turno delle elezioni provinciali e comunali, si terrà il referendum abrogativo su alcuni punti della vigente legge elettorale che regola le elezioni politiche.
I quesiti che verranno sottoposti agli elettori sono tre.
I primi due quesiti sono sostanzialmente identici e mirano entrambi al medesimo scopo (sono distinti perché si riferiscono l’uno all’elezione della Camera dei Deputati e l’altro all’elezione del Senato). Il quesito vuole attribuire il premio di maggioranza, oggi previsto per la coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti, alla lista più votata.
Se gli elettori dovessero approvare il quesito, l’impatto sul sistema politico sarebbe assai significativo. Ci si avvierebbe certamente verso un sistema non soltanto bipolare (come già è oggi), ma sostanzialmente bipartitico, nel quale si fronteggerebbero due grandi partiti, uno di centro-destra e l’altro di centro-sinistra, in competizione fra di loro per la conquista di quel premio di maggioranza che garantirebbe una tranquilla maggioranza parlamentare.
Il terzo quesito, se approvato, eliminerebbe la possibilità di candidature plurime, in forza delle quali, attualmente, i “leaders” dei più importanti partiti, attraverso il meccanismo delle opzioni per l’uno o l’altro collegio in cui hanno ottenuto l’elezione, possono, con scelta personale, determinare l’elezione o la bocciatura di numerosi candidati.
E’ chiaro che, essendo il referendum solo abrogativo (consente, cioè, di abrogare parti della legge sottoposta a referendum, ma non di sostituire le disposizioni abrogate con altre, e diverse, disposizioni), non è possibile, attraverso il meccanismo del referendum, porre rimedio al maggior limite della vigente legge elettorale, non a caso definita “porcellum” nel gergo giornalistico.
La legge elettorale, infatti, ha escluso qualsiasi possibilità di scelta personale da parte dell’elettore: sono scomparsi, infatti, sia il collegio uninominale sia le preferenze e l’ elezione avviene secondo l’ordine in cui il candidato è indicato nella lista. Per questo si parla, sempre più spesso, di un Parlamento di “nominati”, anziché di “eletti”.
E’ dubbio, tuttavia, che il referendum riesca a raggiungere lo scopo, sia pure limitato, che si prefigge.
E’ osservazione piuttosto diffusa che del referendum si sia abusato. L’istituto, nato con caratteri di eccezionalità, si è via via snaturato, soprattutto per un uso distorto, che ha avuto l’effetto di incrementare l’astensionismo. Di conseguenza, coloro che, negli ultimi anni, erano contrari ai quesiti sottoposti a referendum hanno preferito fare propaganda per l’astensione, anziché per un voto negativo, per utilizzare, a loro favore, anche il crescente astensionismo fisiologico.
Così, dal lontano 1995, in nessun referendum, ha votato la maggioranza degli aventi diritto al voto, quorum previsto dal terzo comma dell’articolo 75 della Costituzione.
Particolare rilievo ha avuto, quindi, la scelta della data in cui effettuare il referendum che, secondo l’articolo 34 della Legge 25 maggio 1970 n. 352, deve effettuarsi in una domenica compresa fra il 15 aprile ed il 15 giugno.
Se il referendum fosse stato abbinato alle elezioni europee ed alle elezioni amministrative, fissate per il 6 e 7 giugno, il quorum della metà più uno degli aventi diritto al voto avrebbe potuto essere raggiunto facilmente.
Altrettanto non sarebbe accaduto se fosse stata scelta la data del 14 giugno (ultima domenica utile, secondo la legge), che sarebbe venuta a cadere fra il primo ed il secondo turno delle elezioni amministrative.
Alla fine, è stata scelta la data del 21 giugno, che coincide con il secondo turno delle elezioni comunali e provinciali. Ma, per oltrepassare il limite del 15 giugno, è stato necessario approvare un’apposita legge.
Da parte degli oppositori del referendum, si è detto che l’abbinamento con le elezioni europee ed il primo turno delle amministrative non era possibile, perché non consentito dalla Costituzione. Nulla di più falso. Non tanto la Costituzione, quanto l’articolo 34 della già citata Legge 25 maggio 1970 n. 352, vieta il sovrapporsi del referendum alle elezioni politiche, non ad altre elezioni. Tanto è vero che il referendum, originariamente previsto per il 2008, è stato rinviato al 2009, per effetto dell’anticipato scioglimento delle Camere.
Che il problema della data fosse politico più che giuridico è, peraltro, confermato dal fatto che l’abbinamento del referendum con il secondo turno delle elezioni comunali e provinciali è stato possibile.
E’, tuttavia, prevedibile che non molti saranno i ballottaggi per i Comuni e le Province. Non sarà facile, quindi, che il referendum raggiunga il quorum.
Eppure la scadenza è importante ed offre un’occasione forse irripetibile. Gli elettori, con il loro voto, avranno la possibilità di modificare, ancorché parzialmente, un sistema elettorale che ha brutalmente sottratto loro ogni possibilità di scelta. Avranno, ancora, la possibilità di rimettere in moto il meccanismo delle riforme istituzionali da troppo tempo bloccato.
Si dice, da parte di qualche esponente politico (ad esempio, Rutelli), che la legge elettorale che risulterà da una eventuale vittoria dei si al referendum, ove questo raggiungesse il quorum, sarebbe una legge congegnata in modo tale da favorire Berlusconi ed il centro-destra. Ciò, nell’immediato, è senz’altro vero, ma una legge elettorale deve essere concepita per tempi lunghi e non in funzione di una scadenza ravvicinata.
Si può rispondere, quindi, a coloro che temono che il referendum faccia il gioco di Berlusconi, con la celebre affermazione di De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel maggio 2009)

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