venerdì 1 ottobre 2010

PER QUARANT’ANNI HO LAVORATO ACCANTO A “GRUMI EVERSIVI”

Il 9 giugno prossimo compirò i quarant’anni di professione forense. Infatti, giovane poco più che venticinquenne, il 9 giugno 1969, mi iscrivevo all’albo degli avvocati.
Nel corso di quarant’anni ho conosciuto decine e decine di magistrati, a Cremona e altrove.
Per il tipo di lavoro che ho sempre svolto, ho avuto rapporti, in prevalenza, con giudici civili; ma ho avuto modo di conoscere anche giudici penali e magistrati del Pubblico Ministero. Ho, poi, conosciuto, in modo approfondito, taluni magistrati trovandomi con loro nelle Commissioni Tributarie e nelle Commissioni per gli esami di avvocato, organismi nei quali magistrati ed avvocati lavorano fianco a fianco.
In quarant’anni di lavoro non mi sono mai avveduto, forse per mia distrazione, di avere a che fare con “grumi eversivi”, per utilizzare l’espressione recentemente usata dal Presidente del Consiglio. Di parecchi magistrati, ormai defunti o allontanatisi da tempo da Cremona, serbo sempre un grato ricordo.
Per tutti gli altri ho sempre nutrito sentimenti di stima e di apprezzamento; con qualcuno, infine, mantengo rapporti di personale amicizia.
Non ho mai percepito che fossero, o potessero essere, eversori dell’ordine costituzionale. Se, a qualcuno dei tanti magistrati che ho conosciuto, posso muovere una critica, è quella di decidere appiattendosi forse in modo eccessivo sulla giurisprudenza della Cassazione e manifestando una certa timidezza nel sollevare questioni di costituzionalità e di pregiudizialità comunitaria, nonché nel far propria una interpretazione evolutiva o adeguatrice delle norme. Ho quindi conosciuto non pochi magistrati forse troppo poco “eversori”, rispetto alle mie personali opinioni.
L’espressione usata dal Presidente del Consiglio lascia quindi sconcertati. Viene da dire che, come per l’avvocato il miglior giudice è quello che gli dà ragione (lo dice Piero Calandrei nel suo aureo libretto “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”), così per Berlusconi è eversivo il giudice che si occupa di lui, mettendo potenzialmente a repentaglio la sua carriera politica.
I magistrati in Italia sono più di ottomila. Fra di essi, come in ogni categoria di persone o gruppo sociale, vi sono i migliori ed i peggiori, i bravi ed i meno bravi, i colti e i superficiali, i laboriosi e gli sfaticati. Non possono, tuttavia, essere demonizzati nel loro complesso (ricordo quando il Presidente del Consiglio, con espressioni non certo eleganti, definì i giudici “disturbati mentali” e “metastasi della democrazia”).
Soprattutto una caratteristica dei magistrati va tutelata e difesa, come un bene prezioso, la loro indipendenza, che è una garanzia per tutti.
Secondo l’articolo 104 della Costituzione, in- fatti, “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Con tale affermazione, la Costituzione chiarisce che l’indipendenza non riguarda esclusivamente i singoli giudici, ma è una qualità che caratterizza la magistratura nel suo complesso.
L’indipendenza dell’ordine giudiziario si fonda sul principio liberale della separazione dei poteri. Nonostante si sia spesso sottolineato come la teoria classica della separazione dei poteri sia stata accolta nel nostro ordinamento solo in via tendenziale, è anche vero che la separazione dell’ordine giudiziario rispetto al legislativo e all’esecutivo costituisce uno dei cardini organizzativi su cui si fonda la Costituzione: l’indipendenza dell’ordine giudiziario complessivamente considerato è, infatti, fortemente garantita nei confronti dei poteri politici, sia di quello esecutivo, sia di quello legislativo. L’indipendenza non implica, però, una separatezza assoluta. I rapporti fra la magistratura e gli organi politici sono stati oggetto di alcune pronunce della Corte costituzionale, dalle quali emerge come l’indipendenza non debba tradursi in conflittualità, ben potendosi, invece, individuare momenti in cui è necessario instaurare rapporti di leale collaborazione.
In particolare, è interessante notare che l’articolo 10 della Legge 24 marzo 1958 n. 195, riguardante la costituzione ed il funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura, prevede che il C.s.m. possa, se richiesto, dare pareri al Ministro della Giustizia sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie.
Gli elementi distintivi che caratterizzano l’indipendenza della magistratura (imperniato sul Consiglio Superiore della Magistratura) vanno ricercati nell’approntamento di strumenti di garanzia dell’indipendenza (tanto interna, quanto esterna) di ogni singolo magistrato, nella netta separazione della magistratura (anche quella requirente) rispetto al potere esecutivo, nella configurazione di una struttura amministrativa (con al vertice il C.s.m.), autonoma dall’esecutivo e dagli stessi organi che esercitano la giurisdizione, incaricata dell’esercizio delle funzioni strumentali per il corretto esplicarsi di quest’ultima. E la peculiarità forse maggiore del sistema consiste proprio nella compresenza di questi fattori e nel loro complessivo ed armonico sviluppo.
Non a caso, il sistema delineato dalla Costituzione è stato poi mutuato da Costituzioni più recenti, quali quelle della Grecia, della Spagna, del Portogallo.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel maggio 2009)

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