venerdì 8 ottobre 2010

LA LEGGE FINANZIARIA ANTICIPA (FORSE) IL CODICE DELLE AUTONOMIE

L’articolo 2, commi dal 184 al 187, della Legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Legge finanziaria per il 2010) contiene alcune norme di grande rilievo per l’assetto organizzativo dei Comuni e delle Province.
La scelta, adottata dal legislatore, di modificare l’ordinamento degli enti locali attraverso lo strumento della legge finanziaria, anche se non nuova, è certamente anomala.
Infatti, l’articolo 11, terzo comma, della Legge 5 agosto 1978, n. 468 (così come sostituito dalla Legge 25 giugno 1999 n. 208) dispone che “la legge finanziaria non può contenere norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio”.
I commi 184, 185, 186 della legge finanziaria, in realtà, intendono anticipare alcune norme ordinamentali previste dal “Codice delle autonomie”. Tale codice è ancora allo stato di disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri il 19 novembre 2009.
Dopo un confronto con le associazioni rappresentative degli enti locali (ANCI ed UPI, essenzialmente) dovrà essere approvato dal Parlamento. Tuttavia, poiché il “Codice delle autonomie” contiene sia norme di delega (in forza delle quali dovranno essere emessi decreti legislativi), sia norme di immediata applicazione, è prevedibile che passerà diverso tempo prima che il Codice stesso possa essere attuato nella sua interezza.
Di qui, l’idea del Governo (e, in particolare, del ministro Calderoli) di anticiparne alcune disposizioni nella legge finanziaria. Si tratta, infatti, di disposizioni che dovrebbero consentire a Comuni e Province un apprezzabile risparmio di spesa, tale da compensare, almeno in parte, la riduzione dei fondi che la legge finanziaria mette a disposizione degli enti locali.
Il comma 184 prevede una riduzione dei consiglieri comunali nella misura del 20%. Il comma 185, di contro, dispone che il numero degli assessori comunali non possa superare il quarto dei consiglieri comunali, mentre le Giunte delle Province avranno il limite numerico di un quinto dei consiglieri.
La misura mi pare assai opportuna, attesa la dimensione pletorica degli organi collegiali dei Comuni e delle Province.
Ricordo ancora lo stupore con il quale, quasi trent’anni fa, negli Stati Uniti, ebbi modo di assistere, in una cittadina del Rhode Island di qualche migliaio di abitanti, ad una riunione del Consiglio comunale, composto di sole cinque persone.
Non si comprende la ragione per cui, in Italia, un Comune della stessa dimensione debba, invece, avere un Consiglio di venti persone ed una Giunta di sette.
Il comma 186 prevede la soppressione di alcuni organi dei Comuni e delle Province.
In primo luogo, deve essere soppresso il difensore civico. Il difensore civico, introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano dalla Legge 8 giugno 1990, n. 142 ed oggi previsto dall’articolo 11 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, è un istituto mutuato da ordinamenti stranieri (si pensi all’”ombudsman” svedese, che risale addirittura al 1809, al “Mediatore” della Comunità europea, al “Mediateur” francese). Secondo la legge il difensore civico (la cui istituzione deve essere prevista dallo Statuto dell’ente locale), ha “compiti di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale” e deve segnalare “anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini”.
Di fatto, il difensore civico ha assunto un ruolo “paragiurisdizionale”, evitando che i cittadini, per le questioni di minore rilievo, siano comunque costretti a rivolgersi agli organi della giustizia amministrativa. Ha svolto, quindi, un utile compito deflattivo del contenzioso pendente davanti ai T.A.R., stimolando l’aututela dell’amministrazione. Avrei, quindi, dei dubbi in ordine all’opportunità della soppressione, pura e semplice, della figura del difensore civico.
Il comma 186 prevede ancora la soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale (i “comitati di quartiere”, come sono definiti nel linguaggio comune), di cui Cremona fece esperienza in anni assai lontani e che poi furono soppressi (essendo la loro istituzione facoltativa), senza lasciare rimpianti.
Nei Comuni con popolazione inferiore ai tremila abitanti, è, poi, prevista la possibilità di sopprimere la Giunta, da sostituirsi con due consiglieri delegati dal Sindaco.
E’ prevista, ancora, la soppressione della figura del direttore generale. Tale figura, per i Comuni e le Province, fu introdotta dalla Legge 5 maggio 1997, n. 127 ed è oggi disciplinata dall’art. 108 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Egli ha il compito di “attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente, secondo le direttive impartite dal Sindaco o dal Presidente della Provincia e … sovrintende alla gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza”.
Giudico l’abolizione della figura del Direttore generale quanto mai opportuna: non ho mai capito, infatti, la dicotomia fra la figura del Segretario e del Direttore generale, foriera, secondo me, di conflitti e disfunzioni.
Il comma 186 prevede, infine, la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, le cui funzioni vengono trasferite agli stessi enti locali.
Infine, il comma 187 prevede che “lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane” (che, pertanto, almeno in prospettiva, sono destinate alla soppressione).
Il comma 253, da ultimo, prevede che la legge finanziaria (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2009) entri in vigore il 1° gennaio 2010 .
Ci si immaginerebbe, quindi, in questi giorni, Comuni e Province in affanno per adeguarsi, modificando Statuti e Regolamenti, alla nuova normativa.
Nulla di tutto questo, invece, sta avvenendo. Si parla, al contrario, con insistenza, di un decreto legge che differisca l’entrata in vigore delle norme di cui abbiamo parlato al 1° gennaio 2011.
La situazione è kafkiana, perché non si comprende, a questo punto, la ragione per cui il Governo abbia voluto, a tutti i costi (anche attraverso il voto di fiducia posto alla Camera), anticipare l’entrata in vigore di alcune disposizioni del “Codice delle autonomie”.
Mi viene da pensare che, quando si tratta di riforme, i politici italiani si comportino come quei coristi delle opere, cui amava riferirsi, in anni ormai lontani, un mio non dimenticato professore di liceo. Dicono “Partiam, partiam”, ma stanno inesorabilmente fermi sul palcoscenico.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel gennaio 2010)

Nessun commento:

Posta un commento