venerdì 8 ottobre 2010

IL REBUS DI POMIGLIANO

Chi mi conosce sa bene che, per formazione e cultura, sono certamente più vicino a quella che è stata definita la “filosofiat” che non ai metalmeccanici della FIOM.
Credo in una moderna cultura d’impresa e penso che, sovente, la concezione che taluni sindacalisti hanno delle relazioni industriali sia vecchia ed inadatta alle esigenze di una società globalizzata. Riconosco, infine, a Marchionne il merito di aver riportato la Fiat ad essere competitiva sui mercati mondiali.
Ciononostante, debbo dire che una parte dell’accordo aziendale relativo allo stabilimento di Pomigliano d’Arco non mi convince. Si tratta dei punti 14) e 15) dell’accordo, in forza dei quali il lavoratore può essere punito, allorquando proclami lo sciopero se l’azienda ha comandato lo straordinario per esigenze di avviamento, recuperi produttivi e punte di mercato.
Lo sciopero è un diritto tutelato dalla Costituzione. L’articolo 40, infatti, afferma che “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
La norma costituzionale rimanda espressamente al legislatore ordinario il compito di definire i limiti entro i quali possa esercitarsi il diritto di sciopero.
Malgrado attese e progetti, leggi che regolino lo sciopero non ve ne sono, almeno sul piano generale, in quanto la speciale disciplina posta dalla Legge 12 giugno 1990 n. 146 riguarda solo i servizi pubblici essenziali.
Come ha sostenuto Giuliano Amato nel suo Manuale di diritto pubblico, “si può solo rilevare, con sicurezza, come il diritto di sciopero si risolva in una situazione giuridica soggettiva di cui è titolare il singolo lavoratore, destinata per altro ad operare in una dimensione storicamente accertata come collettiva (della quale è, dunque, protagonista il gruppo organizzato, qualunque sia questa sua organizzazione)”.
Se la Costituzione consente che il diritto di sciopero possa essere limitato per legge, è evidente che un accordo sindacale non lo può, di contro, limitare.
In questo senso si sono espressi due illustri costituzionalisti, certamente non conosciuti per il loro estremismo.
Massimo Luciani ha affermato che “Il diritto allo sciopero non è derogabile: la Costituzione lo prevede per assicurare la tutela alla parte più debole nel rapporto di lavoro. E’ un diritto che non è nella disponibilità di colui che ne è titolare e dunque non può far parte di una pattuizione. Su questo punto ci sono dubbi molto seri di costituzionalità”. Ma a nutrire perplessità sullo stesso punto è anche l’ex presidente della Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti: ”Così facendo si fa dipendere da un contratto aziendale la limitazione di un diritto sancito dall’art. 40 della Costituzione. E’ vero che per i pubblici servizi esistono limitazioni al diritto di sciopero (ad esempio per fasce orarie), ma queste avvengono in forza di una legge ‘ad hoc’ e non sulla base di un contratto aziendale. Per giunta, sul piano dell’efficacia va valutato che il diritto allo sciopero economico viene posto in discussione limitatamente ad un’azienda e solo per l’area di Pomigliano… I dubbi dal punto di vista costituzionale sono forti”.
Diversa è l’opinione del giuslavorista Pietro Ichino. Egli, dopo aver configurato il punto 14) dell’accordo (denominato “clausola di responsabilità”) come un patto di tregua sindacale ha affermato che “se la proclamazione dello sciopero è illegittima per violazione di un patto di tregua validamente sottoscritto dal sindacato proclamante, debba considerarsi illegittima anche l’adesione del lavoratore a quello sciopero”.
Vi è, da ultimo, il problema dell’efficacia di un accordo sottoscritto solo da alcune organizzazioni sindacali, ma non dalla FIOM.
L’accordo aziendale in esame, infatti, è un contratto collettivo di diritto comune, privo di efficacia erga omnes, essendo stato abolito l’ordinamento corporativo e non avendo trovato ancora attuazione l’articolo 39 della Costituzione.
E’ un atto giuridico di natura prettamente civilistica inquadrabile nell’ambito degli atti negoziali e riferibile alla nozione dell’autonomia privata di carattere collettivo. Esso vincola solo gli iscritti che, attraverso l’adesione, hanno conferito all’associazione sindacale un mandato per contrattare in proprio nome.
Da ciò deriva che l’accordo resterebbe inefficace nei confronti dei lavoratori aderenti alla FIOM.
Come ha sostenuto ancora Piero Alberto Capotosti, se si voleva limitare il ricorso allo sciopero nello stabilimento di Pomigliano d’Arco, “sarebbe stato meglio muoversi sul piano dei disincentivi economici e non su quello delle sanzioni disciplinari o del licenziamento”.

(articolo pubblicato su "La Cronaca" nel giugno 2010)

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