venerdì 8 ottobre 2010

GLI AFFARI DELLA FONDAZIONE SONO AFFARI DI TUTTI

La pigra e calda estate dei cremonesi è stata, quest'anno, scossa dalle polemiche sulle scelte della Fondazione “Città di Cremona”.
Non è mio intendimento parlare dei rapporti fra Fondazione e Comune (è argomento politico in cui non voglio entrare e che non mi interessa) e neppure trattare nel merito dell'investimento che la Fondazione si ripromette di fare con l'acquisto dello storico Palazzo Fodri e degli edifici circostanti (si tratta di argomento prettamente economico-finanziario, per approfondire il quale non ho alcuna particolare competenza).
Mi limiterò, quindi, ad alcune considerazioni di carattere giuridico, che pure hanno una loro rilevanza.
La Fondazione “Città di Cremona” è sì una persona giuridica di diritto privato, ma non è certo una fondazione qualsiasi. In essa è confluito il patrimonio degli antichissimi “luoghi pii”, che, alla fine dell'ottocento, con la laicizzazione della beneficenza furono trasformati dalla legge “Crispi” (Legge 17 luglio 1890, n. 6972) nelle “istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”, più note come II.PP.A.B.
La legge “Crispi” affidò alle II.PP.A.B. l'amministrazione dei lasciti che, nel corso dei secoli, il buon cuore di tanti benefattori aveva devoluto ai poveri, ponendo due fondamentali vincoli: in primo luogo tutti i patrimoni ed i redditi delle II.PP.A.B. erano vincolati ai poveri, così come voluto dai benefattori; secondariamente veniva fatto divieto di utilizzare l'alienazione del patrimonio per coprire le spese di gestione.
In questo modo, il colossale patrimonio della II.PP.A.B. (valutato nel 2000 in oltre 100.000 miliardi di lire) è stato salvaguardato per oltre un secolo.
La Legge 8 novembre 2000 n. 328 (legge quadro sui servizi sociali) ed il successivo D. Lgs. 4 maggio 2001 n. 207 hanno profondamente innovato il sistema. Le istituzioni che svolgevano direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali erano tenute a trasformarsi in “aziende pubbliche di servizi alla persona” (articolo 5 del decreto legislativo). Di contro, secondo l'articolo 16, le istituzioni per le quali non sussistevano le condizioni per la trasformazione in aziende pubbliche, dovevano trasformarsi in persone giuridiche di diritto privato, associazioni o fondazioni, nel rispetto delle originarie finalità statutarie.
Nell'ambito della Regione Lombardia, tali modalità di trasformazione sono state disciplinate dalla L.R. 13 febbraio 2003, n. 1.
La Fondazione “Città di Cremona” fu, quindi, istituita il 23 dicembre 2003 a seguito della trasformazione e fusione di quattro istituzioni cremonesi (fra cui l'Istituto elemosiniere ed il Centro geriatrico cremonese).
Secondo l'articolo 16 del codice civile, la Fondazione ha un proprio Statuto (liberamente consultabile sul sito internet della Fondazione stessa).
La Fondazione è titolare di un ingente patrimonio, la cui gestione è vincolata al perseguimento dei fini (che rimangono di natura socio-assistenziale) della Fondazione stessa.
La dismissione di uno o più beni costituenti il patrimonio della fondazione obbliga l'ente al reinvestimento dei proventi nell'acquisto di altri beni “più funzionali al raggiungimento delle medesime finalità”.
E' noto coma la Fondazione abbia recentemente alienato un fondo rustico di ingente valore. Ha, quindi, l'obbligo statutario di reinvestire i proventi di tale dismissione.
Il prospettato acquisto di Palazzo Fodri non è quindi determinato da una scelta speculativa, come, da parte di taluni, incautamente, è stato detto, ma costituirebbe un modo per adempiere a tale obbligo statutario.
Secondo l'articolo 5 del proprio Statuto, la Fondazione “Città di Cremona” può costituire società di capitali o partecipare alle stesse, a condizione “che svolgano in via strumentale attività diretta al perseguimento degli scopi statutari”. Ciò è conforme all'orientamento giurisprudenziale per cui solo lo Statuto può porre limiti alla costituzione di società da parte di una fondazione: “In assenza di specifici divieti dell'atto costitutivo o dello statuto, è legittima la costituzione da parte di una fondazione di una società a responsabilità limitata” (Tribunale Napoli, 14 gennaio 1994).
Ciononostante, l'orientamento della Fondazione di costituire una società a responsabilità limitata allo scopo di acquisire e poi gestire il complesso di Palazzo Fodri, suscita perplessità. Mentre, infatti, in caso di insolvenza, la società a responsabilità limitata sarebbe comunque destinata al fallimento, in quanto imprenditore commerciale, non altrettanto potrebbe dirsi di una fondazione che sarebbe soggetta al fallimento solo se esercitasse “professionalmente un'attività economica organizzata che, per le modalità con cui viene svolta, le dimensioni che raggiunge e i risultati cui perviene, non appare più strumentale al perseguimento dei fini dell'ente, divenendo assorbente e predominante rispetto agli stessi” (Tribunale Milano, 16 luglio 1998). Il che non sarebbe certamente il caso della Fondazione “Città di Cremona”, in cui resterebbe prevalente l'attività di tipo socio-assistenziale.
Non si coglie, quindi, il senso dell'interposizione, fra la Fondazione “Città di Cremona” e la proprietà dell'immobile (e di altri eventuali immobili da acquistare in futuro) di una società a responsabilità limitata.
A meno che non si voglia, con un siffatto artificio, evitare che il Pubblico Ministero possa esercitare l'azione di annullamento delle deliberazioni della Fondazione, ai sensi dell'articolo 23 del codice civile (mentre in una società a responsabilità limitata le deliberazioni sarebbero impugnabili solo dai soci, dagli amministratori e dal Collegio sindacale).
L'effetto maggiormente distorsivo, tuttavia, si avrebbe nell'ipotesi di una eventuale, futura alienazione del patrimonio immobiliare della società. La Fondazione, infatti, ha l'obbligo di inviare gli atti relativi alla dismissione alla Regione, che può a sua volta segnalare al Pubblico Ministero l'opportunità di esercitare l'azione di cui all'articolo 23 del codice civile (articolo 18 del D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207). Tale obbligo, invece, non farebbe capo alla società a responsabilità limitata, partecipata dalla Fondazione, che diverrebbe proprietaria degli immobili.
Ma vi è di più: l'obbligo, per la Fondazione, di notiziare la Regione in ordine alle alienazioni immobiliari non riguarderebbe l'alienazione delle quote della società. La Fondazione potrebbe quindi, attraverso lo strumento dell'alienazione delle quote della società, alienare gli immobili, precedentemente conferiti alla società, eludendo qualsiasi controllo da parte della Regione.
Lungi da me il pensare che questo sia l'intendimento degli attuali amministratori della Fondazione. Ma, come l'esperienza insegna, la prudenza non è mai troppa quando si crea un assetto istituzionale destinato a durare nel tempo.
Non è certo, questa, questione di poco conto, dato che la Fondazione, pur se soggetto giuridico di diritto privato, è titolare di un patrimonio di origine pubblicistica che, nell'interesse di tutti, deve essere preservato ed incrementato.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel settembre 2010)

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