venerdì 1 ottobre 2010

GHEDINI COME ERODE

Narra il Vangelo di Matteo :”Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi” (Mt, 2,16).
Si tratta dell’episodio evangelico della “strage degli innocenti”, molte volte immortalato nella iconografia cristiana.
Alla “strage degli innocenti” mi è venuto da pensare di fronte al disegno di legge sul “processo breve”, elaborato dall’avvocato Ghedini, per impedire lo svolgimento di due processi penali a carico del suo più illustre cliente.
Così come Erode, per eliminare (senza riuscirvi) il bambino Gesù, pensò di eliminare tutti i bambini di Betlemme di età inferiore ai due anni, allo stesso modo Ghedini, per estinguere due processi penali a carico del Presidente del Consiglio, ha ideato un meccanismo che porterà all’estinzione di decine, o piuttosto di centinaia, di migliaia di procedimenti penali, anche di rilevanza non bagatellare.
Di fronte a una siffatta alzata di ingegno, sono rimasto sconcertato. La soluzione (l’onorevole Italo Bocchino l’ha definita “ghedinata”) ha talmente dell’incredibile che, di fronte alla stessa, non sono neppure riuscito a provare indignazione.
“Il Sole 24 Ore” ha descritto la situazione con un paragone assai efficace: “Immaginiamo che si stabilisca di far viaggiare i treni Roma-Milano non più in 4 ore ma in 2, ma che soltanto ad alcuni passeggeri sia consentita l’alta velocità, lasciando agli altri la linea lenta; immaginiamo che questi nuovi Tgv siano costretti ad andare su binari vetusti, non adatti all’alta velocità, e che perciò deraglino in continuazione o rallentino, accumulando ore di ritardo; immaginiamo, soprattutto, che ai macchinisti dei treni già partiti sia ordinato di fermarsi allo scadere delle 2 ore, ovunque si trovino, facendo scendere i passeggeri. Un caos”.
E’ inimmaginabile che si ipotizzi, al solo scopo di eliminare due singoli procedimenti penali a carico di una singola persona, una ecatombe di processi. Non solo si avrebbe una sorta di amnistia mascherata (della quale, a parità di reato, non tutti gli imputati potrebbero fruire), senza neppure le garanzie che l’articolo 79 della Costituzione prevede per l’amnistia (approvazione con la maggioranza dei due terzi del Parlamento).
Ma, soprattutto, verrebbe minato un principio fondamentale del vivere civile: alcuni comportamenti, definiti come reati, sono vietati dalla legge penale e vengono puniti con l’irrogazione di sanzioni (definite pene), più o meno gravi. E questo sistema di regole è indispensabile, come dicevano i romani, “ne cives ad arma ruant”.
Il Ministro della Giustizia ha pubblicamente affermato che solo l’uno per cento dei processi penali si estinguerebbe per effetto della nuova legge. Non ci credo. Basta aver frequentato le aule di giustizia per pervenire alla conclusione che la stima del Ministro è palesemente errata per difetto. E’ verosimile che almeno la metà dei procedimenti penali riguardanti fatti di entità modesta o non eccessivamente rilevante, ma non per questo trascurabili o privi di allarme sociale (si pensi, ad esempio, alla vicenda di “calciopoli”), si estinguano prima di una sentenza definitiva di condanna o di assoluzione.
Non pochi costituzionalisti, di diverso, quando non contrapposto, orientamento politico e culturale, hanno già posto in evidenza diversi possibili profili di incostituzionalità della legge sul processo breve, con riferimento agli articoli 3 (principio di uguaglianza), 24 (diritto di difesa) e 111 (principio del giusto processo) della Costituzione.
E’, quindi, presumibile che, se mai dovesse essere approvata, la legge concepita dall’avvocato Ghedini cadrebbe ben presto sotto la mannaia della Corte Costituzionale, non prima, tuttavia, di aver provocato una vera e propria strage di processi penali pendenti, con conseguenze politico-sociali facilmente immaginabili, in una società in cui la domanda di sicurezza, specie negli ultimi anni, si è fatta sempre più pressante.
Non ignoro (anche perché ne sono testimone da oltre quarant’anni) le lungaggini della giustizia italiana. Ma non si può pensare che, per risolvere le lungaggini, si debbano necessariamente uccidere i processi.
Altre sono le misure alle quali si dovrebbe pensare e che dovrebbero essere adottate. Mi limiterò ad elencarne qualcuna: drastica depenalizzazione dei reati bagatellari, da punire con sanzioni amministrative; semplificazione delle procedure, pur tenendo conto del fatto che, secondo l’articolo 111 della Costituzione, deve realizzarsi un processo “giusto” che non è necessariamente e sempre un processo “veloce”; aumento del numero di magistrati, anche con un reclutamento straordinario come avvenne nell’immediato dopoguerra, all’epoca del Guardasigilli Togliatti; incremento dei mezzi organizzativi e delle risorse a disposizione della giustizia, per quanto attiene al personale amministrativo ed all’ informatizzazione.
La “riforma della giustizia”, come ha detto Luca di Montezemolo, non può limitarsi al vantaggio di una sola persona, ma deve radicalmente trasformare, nell’interesse generale, il sistema nel suo complesso (e non deve dimenticare – aggiungo io - la giustizia civile e la giustizia amministrativa).


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel novembre 2009)

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