venerdì 1 ottobre 2010

ELOGIO DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Negli ultimi mesi, anche a Cremona, varie pronunce rese dai Giudici amministrativi (Tribunali Amministrativi Regionali e Consiglio di Stato), sia in sede cautelare che nel merito, hanno destato vivaci reazioni. Improvvisati opinionisti hanno, di volta in volta, lamentato il fatto che i Giudici amministrativi abbiano il potere di fermare l’esecuzione di importanti opere pubbliche, ovvero di indicare soluzioni che, più correttamente, dovrebbero essere di competenza dell’Amministrazione. Si è detto anche (a proposito di una sentenza del TAR per la Lombardia che ha dichiarato illegittimo un provvedimento regionale riguardante il caso di Eluana Englaro) che non è accettabile che i Giudici amministrativi si possano occupare di ogni cosa, di ogni aspetto della vita sociale.
Non posso certo addentrarmi nell’esame dei casi concreti che hanno formato oggetto di polemica, anche perché, di taluni di essi, ho avuto modo di occuparmi personalmente, sul piano professionale.
Desidero, tuttavia, cogliere l’occasione per spezzare una lancia in favore della giustizia amministrativa che, soprattutto dal 1974, anno di entrata in funzione dei Tribunali Amministrativi Regionali (regolati dalla Legge 6 dicembre 1971, n. 1034), ha assunto un ruolo di primo piano nell’ordinamento italiano.
L’origine della giustizia amministrativa è però ben più risalente nel tempo ed ha la sua origine nella Legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E. Con l’articolo 2 di tale legge, furono devolute alla giurisdizione ordinaria “tutte la cause nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa”.
L’articolo 3 prevedeva poi che “gli affari non compresi nell’articolo precedente” fossero decisi dalle stesse autorità amministrative a seguito di ricorso delle parti interessate.
Con il R.D. 2 giugno 1889 n. 6166 fu istituita la IV Sezione del Consiglio di Stato (le prime tre sezioni di tale organismo avevano funzioni consultive), cui fu affidata la tutela degli interessi non protetti come diritti e di cui all’articolo 3 di cui si è detto in precedenza. Alla IV Sezione furono successivamente affiancate la V (nel 1907) e la VI (nel 1948). Più tardi, in adempimento della previsione contenuta nell’articolo 125 della Costituzione (che, nell’articolo 113, aveva costituzionalizzato la giustizia amministrativa), furono istituiti i Tribunali Amministrativi Regionali che entrarono in funzione nel corso del 1974. Da allora il Consiglio di Stato è giudice d’appello.
Oggetto dell’attività dei Giudici amministrativi è il giudizio sugli atti amministrativi, che devono essere esaminati non nel merito (e cioè rispetto al contenuto, che non può che essere determinato dall’Amministrazione), ma sotto il profilo della legittimità. I vizi di legittimità dell’atto amministrativo, qualsiasi ne sia il contenuto (i settori più significativi di cui si occupa la giustizia amministrativa, sia detto incidentalmente, sono quelli dei contratti della Pubblica Amministrazione e dell’edilizia ed urbanistica), sono tre, l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere.
Si ha incompetenza quando l’atto è emanato da una autorità amministrativa che non ha il potere di emetterlo. Mentre è intuitiva la nozione di violazione di legge, più complesso è, per il profano, il concetto di eccesso di potere (da non confondersi con l’abuso d’ufficio, che è un reato).
Si sostiene che l’eccesso di potere costituisce vizio del processo di traduzione del potere amministrativo in atto, correlata all’uso non corretto del potere discrezionale. Secondo la giurisprudenza, l’eccesso di potere si manifesta attraverso figure sintomatiche (mancanza o incongruità della motivazione, sviamento, illogicità ed ingiustizia manifeste, disparità di trattamento, contraddittorietà con precedenti determinazioni, difetto di proporzionalità).
Il Giudice amministrativo, quindi, senza valutare l’atto sotto il profilo della sua opportunità, lo esamina in relazione ai parametri che si sono indicati (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) e, se lo ritiene illegittimo, lo annulla in tutto o in parte.
E’ evidente, quindi, come il ruolo del Giudice amministrativo sia essenziale, in uno stato di diritto, per assicurare la legalità dell’azione amministrativa. Si tratta di un ruolo assai più penetrante di quello del Giudice penale, il quale ha sì il potere di punire i responsabili di eventuali reati, ma non ha quello di incidere sull’atto amministrativo.
Un giudizio assai negativo, quindi, deve essere espresso sulla proposta di legge n. 2271, presentata il 10 marzo 2009 alla Camera dei Deputati, primo firmatario l’onorevole Scandroglio. Secondo tale proposta di legge (che si propone di integrare la Legge 8 luglio 1986 n. 349, in materia di danno ambientale) le associazioni ambientaliste il cui ricorso sia respinto, perché manifestamente infondato, sono condannate, oltre che alle spese del giudizio, al risarcimento del danno.
E’ naturale che la conseguenza pratica di tale norma, qualora essa fosse approvata, sarebbe la pressoché totale scomparsa dei ricorsi delle associazioni ambientaliste, timorose di vedersi condannate al risarcimento del danno (che potrebbe essere anche assai ingente).
L’intervento del Giudice amministrativo, infatti, non avviene d’ufficio, ma su ricorso di chi vi abbia interesse.
Su questo argomento è intervenuto, molto saggiamente, Giuseppe Petruzzelli, Presidente della Sezione di Brescia del TAR per la Lombardia, nel suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario del TAR bresciano: ”Da qualche tempo percepisco sui giornali una qualche insofferenza nei confronti dei TAR e dei suoi giudici, ai quali si rimprovera l’invadenza nell’azione amministrativa delle istituzioni, quasi che li pervada un sottile e dispotico compiacimento nel frenare le opere e le azioni della Pubblica Amministrazione. Non è così. Il Giudice amministrativo interviene non d’ufficio, ma perché chiamato a dirimere questioni sorte tra cittadino e P.A., a garanzia della legalità e del buon andamento dell’azione amministrativa. E’ vero, a volte la realizzazione delle opere pubbliche è frenata dall’intervento del Giudice amministrativo. Questi però interviene successivamente, quando l’azione, legittima o meno, dell’Amministrazione pubblica si è ormai dispiegata. Sarebbe opportuno che i critici più impazienti riflettessero su questo punto, quantomeno al fine di non caricare il Giudice amministrativo di colpe che forse andrebbero ricercate altrove”.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nell'aprile 2009)

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