venerdì 24 settembre 2010

LE ELEZIONI, UNA MESSA SENZA EUCARISTIA

L’espressione – lo confesso – non è mia. E’ del costituzionalista Michele Ainis, il quale, nel suo recente volume “Stato matto”, a proposito delle liste bloccate, previste dalla vigente legge elettorale, ha scritto “La scelta è tutta nelle mani dei partiti… diventa quindi un rito senza la partecipazione dei fedeli, una messa senza eucaristia”.
L’eucaristia è il momento centrale ed essenziale della messa; una messa priva dell’eucaristia (come le celebrazioni degli evangelici) non è più una messa, è un’altra cosa.
Così, il sistema elettorale vigente, delineato dalla Legge 21 dicembre 2005 n. 270 (il non mai abbastanza vituperato “porcellum”), che preclude, sotto vari profili, la partecipazione degli elettori alle scelte elettorali, è paragonabile ad una messa senza eucaristia.
Molteplici sono le critiche mosse a questo sistema elettorale.
Sia pure con caratteristiche diverse per la Camera e per il Senato, esso si configura come un sistema proporzionale con premio di maggioranza, calcolato su scala nazionale per la Camera e su scala regionale per il Senato (né potrebbe essere diversamente, dovendo, secondo l’articolo 57 della Costituzione, il Senato essere eletto “a base regionale”).
Ma non tutti i voti – e qui sta la prima critica al sistema – concorrono al calcolo del premio di maggioranza. Sono esclusi, infatti, per la Camera, i voti della Valle d’Aosta e degli italiani all’estero; per il Senato, inoltre, non si calcola il premio di maggioranza, oltre che per la Valle D’Aosta e i seggi riservati agli italiani all’estero, anche per il Trentino Alto Adige.
Ciò ha fatto ritenere sussistente una possibile violazione dell’articolo 48 della Costituzione, in relazione al principio di eguaglianza del voto, dal momento che l’esclusione di taluni voti dal concorso per il premio di maggioranza non trova alcun ragionevole fondamento razionale (la famosa legge “truffa” del 1953, che prevedeva un premio di maggioranza che poi non scattò, considerava tutti i voti in modo eguale, senza discriminazioni fondate sul luogo in cui il voto stesso era stato espresso).
Vi è poi un complesso sistema di sbarramenti, che opera in modo diverso a seconda che i partiti si presentino da soli o coalizzati.
Anche tale sistema di sbarramenti è stato oggetto di critiche. Ne è stata messa in luce non solo l’eccessiva complessità, ma sono stati anche evidenziati possibili profili di incostituzionalità, in relazione alla lamentata carenza di ragionevolezza del sistema. In altre parole, si è detto che potrebbe risultare non pienamente in linea con la Costituzione la scelta di differenziare i quorum di accesso a seconda che i partiti scelgano di concorrere in una coalizione o, al contrario, decidano di presentarsi da soli.
Ma la critica più forte che è stata mossa al sistema elettorale riguarda l’opzione, tanto per la Camera quanto per il Senato, per l’esclusione di qualsiasi forma di voto di preferenza o, comunque, di scelta del candidato da parte degli elettori. La legge ha scelto, infatti, il modello cosiddetto delle liste bloccate.
In tale sistema, i partiti si limitano a stabilire un elenco fisso di nominativi di candidati, che vengono eletti con il sistema dello scorrimento, vale a dire secondo l’ordine predeterminato dagli stessi partiti, al momento della presentazione delle liste.
Secondo la legge, inoltre, nelle schede elettorali non vengono neppure indicati i nominativi che compongono le liste, ma ci si limita alla riproduzione dei soli simboli delle formazioni politiche concorrenti.
A ciò si deve aggiungere che, utilizzando la facoltà di candidarsi in ogni collegio del territorio nazionale, i capilista in genere si candidano dappertutto o, quanto meno, in diversi collegi.
Vi è, quindi, una gran quantità di “plurieletti”, i quali poi, optando per questo o quel collegio, decidono la sorte di chi si trova in coda nella lista, determinando l’elezione di chi non è stato eletto dal suffragio popolare.
E il misfatto, come l’ha definito Michele Ainis, si consuma all’insaputa del corpo elettorale, senza dar voce agli elettori.
L’insieme di queste regole, che non è azzardato definire aberranti, ha fatto sì che i candidati non abbiano più alcuna relazione con il territorio (e Cremona, a questo proposito, se si esclude la candidatura di Luciano Pizzetti, non fa eccezione).
Nei collegi, che sono sterminati e raramente consentono un rapporto fra gli elettori ed i singoli candidati, sono arrivati personaggi paracadutati da altre regioni o decisi a Roma dal leader e dai suoi più fidati collaboratori (basti pensare che la più significativa esponente del centro destra a Bolzano è stata candidata a Napoli).
Si è persa così di vista l’essenza di una democrazia parlamentare, creando un sistema di stampo oligarchico, che, probabilmente, non ha eguali al mondo, salvo forse nella Russia di Putin (che sarebbe azzardato definire una democrazia).
Ma, purtroppo, la “porcata” (come ebbe a definirla il suo ideatore, l’ex ministro Calderoli) espande il potere delle segreterie dei partiti e conviene, quindi, a tutte le forze politiche (non a caso il Partito Democratico si è affrettato ad adottarla nelle sue elezioni primarie).
Come ha osservato ancora Michele Ainis, sarà dura liberarsene.


(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel marzo 2008)

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