venerdì 24 settembre 2010

LA PAURA DELL’UOMO NERO

Un tempo i genitori, per distogliere i bambini dai capricci, agitavano la minaccia dell’uomo nero, che, impaurendoli, li rendeva tranquilli.
Le nuove teorie pedagogiche hanno certamente fatto volatilizzare l’uomo nero, che ormai non serve più a spaventare i bambini.
Ma oggi, di fronte all’assillo della sicurezza, la paura dell’uomo nero pare essere riemersa come paura collettiva.
Le ansie individuali, che trovano le loro origini nella difficile situazione economica, si sono, quindi, trasformate in un’emergenza nazionale.
Il fenomeno non è nuovo e non siamo i primi ad avere tanta paura. La storia è piena di società spaventate, immerse nei loro incubi.
L’incubo degli italiani è, da qualche tempo, costituito dal popolo rom. Gli zingari o gitani (come venivano chiamati sino a qualche tempo fa, i rom insieme con i sinti, ma pare che ora le denominazioni tradizionali non siano più considerate “politically correct”) sono un popolo di origini antichissime e sembra ormai dimostrato che essi provengano dall’India settentrionale, dalla quale migrarono verso Occidente agli inizi dell’XI secolo.
L’arrivo in Italia dei primi nuclei di rom e sinti è riconducibile alla battaglia del Kosovo del 1392. L’affermazione delle armate ottomane su quelle serbo-cristiane causò una complessa migrazione di popolazioni diverse in direzione dell’Occidente europeo.
I rom ed i sinti sono, in realtà, un popolo senza patria. Per i rom ed i sinti, piuttosto che di patria si deve parlare di luogo di provenienza, poiché essi non hanno avuto una nazione d’origine, ma luoghi in cui hanno soggiornato per qualche secolo e da cui, in un certo periodo storico, si sono spostati per emigrare verso altre direzioni.
Il numero dei rom e dei sinti in Italia è stato calcolato, nel 2007, in circa 200.000, molto meno quindi che in Francia (800.000) ed in Spagna (340.000).
Di questi zingari, circa 90.000 hanno la cittadinanza italiana.
Caratteristica peculiare dei rom e dei sinti, anche se non di tutti, è, da mille anni, il nomadismo, progressivamente trasformatosi in semi-nomadismo.
Queste popolazioni vivono spesso, quindi, in campi nomadi, in precarie condizioni igieniche ed hanno un tasso di natalità altissimo. L’evasione scolastica è assai elevata e diffusa è la microcriminalità.
I sinti, tradizionalmente, esercitano l’attività di giostrai e lavorano nei circhi. Moira Orfei, con tutta la sua famiglia, è una sinti.
Che gli zingari rubino i bambini e si scambino i bambini fra di loro è una leggenda metropolitana, che non risulta sorretta da concreti elementi di prova.
Come si è detto, i rom ed i sinti vivono in Italia dalla fine del Trecento, anche se il loro numero si è accresciuto, a partire dal 1991, in concomitanza con l’aggravarsi della situazione bellica nella ex Jugoslavia.
Rom e sinti sono, perciò, da secoli presenti in Italia, anche se, per il vero, non sono mai stati circondati da particolari simpatie. A causa dello stile di vita semi-nomade e delle differenze linguistiche e culturali sono stati spesso malvisti dalle popolazioni dei territori dove migravano.
Il cosiddetto “antitziganismo” ha caratterizzato anche l’epoca moderna ed ebbe il suo apice nel corso della seconda guerra mondiale, durante il nazismo, quando furono sterminati nei lager circa 500.000 individui, appartenenti a diverse etnie di zingari, perseguitati in quanto “razza inferiore” e considerati come degli “asociali”.
La strage viene chiamata dalle etnie tzigane “porrajmos”, che significa “divoramento, distruzione, catastrofe, disastro”.
E’ evidente che, atteso il loro numero, i rom ed i sinti non possono certo costituire un’emergenza nazionale. In modo particolare non costituiscono un’emergenza tale da rendere necessaria la nomina di taluni prefetti quali commissari straordinari per affrontare l’emergenza stessa.
Non mi pare, ancora, che l’ipotesi che ha preso corpo in queste settimane, di prendere le impronte digitali ai bambini rom, sia una scelta opportuna e felice.
Sembra, peraltro, essere in contrasto con il primo comma dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000, secondo cui “E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le condizioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.
Da qui le riserve già espresse in proposito, sia pure ancora in via informale, dalla Commissione europea.
Di fronte al problema dei rom, stupisce, in conclusione, l’atteggiamento di grettezza e di chiusura di molti italiani.
A chi ricorda il grande slancio di generosità, pubblica e privata, con cui furono organizzati i soccorsi per l’alluvione di Firenze del 1966 e per il terremoto dell’Irpinia del 1980 (Cremona, nel suo piccolo, “adottò” San Michele di Serino) viene da chiedersi se l’irrazionale paura dell’uomo nero non abbia mutato il codice genetico del nostro paese, facendo emergere atteggiamenti, ormai dimenticati, di intolleranza se non di razzismo.
Molto più interessante, invece, è l’iniziativa adottata da otto paesi europei, il decennio di integrazione dei rom. Si tratta di un’iniziativa di otto paesi centro ed est europei, promossa nel 2005, per migliorare lo stato sociale ed economico e l’integrazione delle minoranze rom, il primo progetto multinazionale in Europa in questo senso.
Otto paesi stanno partecipando all’iniziativa, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Macedonia, Romania, Serbia, Montenegro e Slovacchia. Tutti questi paesi hanno minoranze rom significative, ma assai svantaggiate, sia dal punto di vista economico che sociale.
I governi si sono impegnati ad eliminare il divario nelle condizioni di vita tra i rom e i non rom, così come a porre fine al circolo vizioso di povertà ed emarginazione in cui molti rom si trovano.
L’Italia, invece, pare ancora essere lontana da un tale tipo di iniziative. Sino a poco tempo fa ha sostanzialmente ignorato le popolazioni rom, mentre ora proclama come indispensabile una politica repressiva, se non addirittura di discriminazione.
Anche se l’esperienza ci dice che grande è il divario fra i proclami e le realizzazioni concrete.
(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel luglio 2008)

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