martedì 14 settembre 2010

I GUAI DI UNA FINANZIARIA DI 1364 COMMI

Da tempo avevo intenzione di parlare della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007).
Sinora non l’ho fatto perché non volevo essere coinvolto negli strepiti che, per oltre tre mesi, hanno accompagnato l’iter parlamentare della legge finanziaria. Si faceva a gara a chi urlava di più. Si è ripetuto, sino alla nausea, che il Governo voleva mettere le mani in tasca agli italiani, argomentazione irrazionale e demagogica, quasi fosse possibile, come in Argentina, pagare i servizi pubblici non mettendo le mani in tasca agli italiani (e cioè con l’imposizione fiscale), ma stampando carta moneta o non rimborsando i titoli di Stato.
Ora le polemiche sulla finanziaria si sono sopite, scacciate dalle prime pagine dei giornali e dai talk shows televisivi, da notizie più fresche, come “vallettopoli” e l’”affaire” Telecom.
Si può quindi, pacatamente, ragionare sulla legge finanziaria che, almeno dal punto di vista giuridico (non sono assolutamente in grado di pronunciarmi sull’aspetto economico), è qualcosa di mostruoso.
E’ composta da un solo articolo, di ben 1364 commi. Tutti i record sono stati polverizzati: in un solo articolo, senza alcun ordine, sono sparse le norme più varie, riguardanti argomenti fra di loro diversissimi.
Una puntuale critica a questa dissennata tecnica legislativa è stata fatta, su “Il Sole 24 Ore”, da Massimo Occhiena, che ha rilevato come il legislatore non si sia ispirato alle più elementari regole di scrittura e di buon senso.
Negli ultimi anni, il legislatore italiano non ha mai brillato per una tecnica legislativa particolarmente efficace.
Ma vi sono motivi politici che spiegano la ragione per cui, di anno in anno, la manovra economica che si realizza attraverso la legge finanziaria, aumenta la sua visibilità sui mezzi di comunicazione, ma perde in leggibilità e conoscibilità.
Innanzitutto, la legge finanziaria, per la sua approvazione da parte del Parlamento, gode di una corsia preferenziale: i regolamenti parlamentari, a partire dalla fine degli anni settanta, hanno, infatti, previsto, per la discussione e l’approvazione della legge finanziaria, una fase concentrata dei lavori parlamentari, denominata “sessione di bilancio”.
E’ comprensibile, quindi, che si cerchi, sia da parte del Governo che di singoli parlamentari (talora stimolati da gruppi di pressione), di inserire nella finanziaria norme che, altrimenti, ben difficilmente potrebbero essere approvate in un lasso di tempo ragionevole.
Inoltre, la difficile situazione parlamentare, unita a comprensibili esigenze di celerità, impone al Governo di porre, sull’approvazione della finanziaria, la questione di fiducia. Per fare approvare la finanziaria da ciascuna camera in un’unica votazione, diventa indispensabile, quindi, concentrare tutte le disposizioni in un unico articolo, del quale si moltiplicano i commi sino all’inverosimile.
Quest’anno, tuttavia, le degenerazioni della finanziaria hanno passato ogni limite di decenza.
Dopo l’approvazione parlamentare, che è stata molto faticosa, si è, quindi, parlato, anche da parte del Presidente della Repubblica, di riforma delle norme che regolano il contenuto e l’approvazione della legge finanziaria.
Ora dell’argomento, dopo quattro mesi, non si parla più, in attesa, forse, che, nel prossimo autunno, il problema si riproponga in modo probabilmente ancora più drammatico.
Ciò premesso, è opportuno vedere, più da vicino, che cosa sia la legge finanziaria.
La legge finanziaria è una figura introdotta di recente (dalla Legge 5 agosto 1978, n. 468), allorché si manifestarono le prime esigenze di risanamento della spesa pubblica.
Essa viene approvata una volta l’anno, insieme alla legge di bilancio, per fare ciò che, con quest’ultima, non si può fare. Infatti, l’art. 81, terzo comma, della Costituzione stabilisce che, “con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”.
Come si osserva nella voce “legge finanziaria” del bel “Dizionario costituzionale”, curato dal costituzionalista Michele Ainis, le modifiche alle leggi vigenti, che si possono introdurre con la legge finanziaria, hanno l’esplicito scopo di adeguare le spese e le entrate che deriverebbero dalle leggi vigenti, a determinati standard macroeconomici, ritenuti indispensabili per assicurare un minimo di equilibrio alla finanza pubblica ed un minino di “chances” allo sviluppo economico generale.
Alle disposizioni in materia di legge finanziaria, sono stata apportate importanti modificazioni nel 1988 e nel 1999.
In particolare, l’art. 11, terzo comma, della Legge 5 agosto 1978 n. 468, così come modificato dalla Legge 25 giugno 1999 n. 208, proprio allo scopo di evitare che la legge finanziaria si trasformi in una legge “omnibus”, prevede che “la legge finanziaria non può contenere norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio. Essa contiene esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale”.
Come è stato osservato nel commento all’art. 81 della Costituzione del recente “Commentario alla Costituzione”, edito dalla UTET, sembra di poter dire che l’applicazione della riforma, per quel che specificatamente attiene alla delimitazione delle funzioni della legge finanziaria, non è riuscita a ridurre i contenuti normativi affrontati nella sessione di bilancio. Al contrario, il Governo e i parlamentari hanno, sin dall’inizio interpretato estensivamente le disposizioni limitative dell’art. 11. L’effetto è stato quello di assistere a leggi finanziarie nuovamente caricate dei più disparati contenuti normativi, come si è visto nella follia dei 1364 commi della legge finanziaria per il 2007.
Una nuova riforma, dopo quelle del 1988 e 1999, si rende quindi necessaria. Ma non è dato ancora di vedere quali possano esserne i contenuti.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel maggio 2007)

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