martedì 14 settembre 2010

FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA E NUMERO DEGLI AVVOCATI

Molti studenti, in queste settimane, terminati gli esami di maturità, si trovano di fronte ad una scelta fondamentale per il loro futuro, la scelta della facoltà universitaria.
La Facoltà di giurisprudenza è, da sempre, fra le scelte più gettonate. Un tempo si riteneva giurisprudenza una facoltà tutto sommato facile; secondo l’opinione comune, non richiedeva la frequenza e, in ogni caso, lasciava aperte molte strade.
Oggi la situazione è certamente mutata. I programmi si sono fatti via via più impegnativi, mentre la riforma dell’ordinamento universitario ha introdotto, dopo il diploma di laurea (al termine di un corso di studi triennale), la laurea “magistrale” che richiede ulteriori due anni di studi.
Inoltre, come ha osservato pochi giorni fa Stefano Rodotà su “La Repubblica”, la dimensione giuridica si presenta oggi con un carattere pervasivo come se volesse impadronirsi di ogni momento dell’esistenza, della vita sociale, economica, politica. Contemporaneamente, però, si riscontra l’incapacità del diritto di essere argine di fronte alle logiche di potere che conducono alla guerra o riducono tutto agli interessi del mercato (basti pensare alla “vexata quaestio” dei conflitti di interesse).
Nelle Facoltà di giurisprudenza, quindi, oltre ad acquisire una specifica preparazione professionale, si dovrebbe maturare una capacità più generale di leggere la realtà anche attraverso la lente del diritto.
Le Facoltà si sono aggiornate; i piani di studio proposti sono molto più legati alla realtà di un tempo, quando la base di tutto era il diritto romano, da cui derivava il diritto italiano, implicitamente considerato un modello. Oggi, nelle Facoltà di giurisprudenza, si acquisisce una dimensione europea ed internazionale; il diritto comunitario è entrato a far parte del bagaglio culturale di ogni studente; il diritto commerciale, in tutte le sue sfaccettature, è privilegiato rispetto al diritto romano. Né si trascura il diritto comparato.
A questo grande rinnovamento culturale non ha fatto, tuttavia, riscontro un corrispondente miglioramento qualitativo dei giovani avvocati, atteso che l’avvocatura rappresenta lo sbocco professionale più rilevante dei giovani laureati.
Con ogni probabilità, la ragione di tale fenomeno sta nel numero eccessivo degli studenti e degli avvocati.
Nelle Facoltà di giurisprudenza, è ormai matura l’introduzione del numero programmato che va realizzata con criteri tali da impedire l’innescarsi del gigantesco contenzioso davanti ai Giudici amministrativi (TAR e Consiglio di Stato), che si è visto qualche anno fa per talune Facoltà come medicina ed architettura.
Ma sono troppi anche gli avvocati, come ha rilevato qualche mese fa il Ministro della Giustizia Mastella, in un discorso alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma.
I dati sono eloquenti: mentre in Italia ci si sta rapidamente avvicinando al traguardo di 200.000 avvocati (con un incremento di circa 15.000 unità all’anno), gli avvocati sono 151.000 in Spagna e 44.000 in Francia.
In Germania, che al confronto dell’Italia è un gigante come popolazione e come sviluppo dell’economia, gli avvocati sono 139.000. Nel Regno Unito, dove esiste la distinzione fra “barristers” e “solicitors”, i primi sono 12.000 ed i secondi 131.000.
Una riforma che renda più selettivo l’accesso alla professione forense, quindi, si impone. Le proposte sul tappeto sono molteplici, ma pare che si sia molto lontani dal raggiungimento di risultati concreti. Le ragioni sono presto dette: una procedura di accesso fortemente selettiva valorizzerebbe quelli che la Costituzione, con linguaggio desueto definisce come “capaci e meritevoli”, rendendo più difficile l’accesso a coloro che, come dote, possono vantare solo uno studio familiare alle spalle.
In questo campo, infatti, come in innumerevoli altri, l’Italia delle corporazioni diffida dei “self made men”.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel luglio 2007)

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