lunedì 27 settembre 2010

ELUANA SI SPEGNE, CALA LA NOTTE SULLA REPUBBLICA

Consapevole della mia inadeguatezza, confesso che non mi sono mai interessato di bioetica, che pure costituisce uno degli argomenti centrali nel dibattito culturale degli ultimi anni.
Trattare di bioetica, infatti, richiede solo in parte conoscenze giuridiche, ma esige soprattutto conoscenze di etica, di filosofia e, in particolare, conoscenze scientifiche di cui sono palesemente privo.
Nel caso, umanamente straziante, di Eluana Englaro, tuttavia, il profilo giuridico è parso sovente prevalere sugli aspetti etici e scientifici. Mi arrischio, quindi, a parlarne, cercando di approfondire alcune problematiche giuridiche che i mezzi di informazione hanno sovente affrontato in modo superficiale, con lo sguardo non rivolto al diritto positivo, ma deformato dal pregiudizio ideologico.
Lungi da me l’intendimento di far risorgere quegli storici steccati che già De Gasperi considerava superati, convinto come sono che i valori costituzionali, come valori fondanti dell’ordinamento, non possono che essere valori largamente condivisi, dai cattolici come dai laici.
Alla base della dolorosa vicenda di Eluana Englaro, sta un problema concettuale cui il giurista non può dare una risposta definitiva. Se l’idratazione e l’alimentazione forzata che, sotto stretto controllo medico, vengono somministrate ad un soggetto in stato vegetativo ormai permanente, costituiscono una terapia, deve necessariamente trovare applicazione il secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Come si sa, infatti, la norma costituzionale garantisce la libertà della scelta terapeutica, che comprende il diritto di scegliere tra le diverse possibilità di cura ed anche il diritto di scegliere di non curarsi. Taluni, invece, ritengono che i trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale non possono essere configurati come trattamenti terapeutici e non possono quindi essere rifiutati, rientrando piuttosto in quel prendersi cura minimo che deve essere garantito a ogni persona, affinché non muoia di fame e di sete.
In tale seconda ipotesi, il trattamento non può, conseguentemente, essere né sospeso né rifiutato.
Fondamento della libertà di scelta terapeutica è il cosiddetto “consenso informato”, esito ultimo della scelta terapeutica che compete al paziente compiere, ma attraverso l’ineliminabile apporto di corrette informazioni e adeguate spiegazioni che spetta al medico fornire.
Nel caso di Eluana Englaro, tuttavia, la donna, in stato vegetativo da ben diciassette anni, non era certo in grado di esprimere alcun consenso (o dissenso) informato in ordine alle scelte terapeutiche.
La Corte di Appello di Milano e la Corte di Cassazione hanno perciò proceduto, in base ad elementi di prova ritenuti chiari, concordanti e convincenti, tratti dalla personalità di Eluana, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondenti al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona, alla ricostruzione della volontà di Eluana Englaro.
Una tale ricostruzione a posteriori della volontà dell’interessata è, palesemente, operazione arrischiata, che non può non lasciare dubbi e incertezze.
La distinzione fra trattamento terapeutico e non terapeutico è sottile ed irrisolta – pare – sul piano scientifico.
La Corte di Cassazione, nel caso concreto, ha configurato la nutrizione e idratazione artificiale come trattamenti terapeutici, che possono, quindi, essere rifiutati: non v’è dubbio – ha ritenuto il Supremo Collegio – che l’idratazione e l’alimentazione artificiale costituiscono un trattamento sanitario; esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composti chimici implicanti procedure tecnologiche.
La Corte di Cassazione, per due volte, la Corte di Appello di Milano, la Corte Costituzionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo, il TAR per la Lombardia, hanno condiviso, sotto diversi profili, questa impostazione.
Non sono, quindi, condivisibili le critiche virulente rivolte ai magistrati da organi di informazione e da associazioni cattoliche che hanno adombrato, dietro sentenze scrupolosamente motivate (anche se non condivisibili, se non se ne condivide il fondamento concettuale, e cioè la nozione di alimentazione e idratazione artificiale come trattamento terapeutico) chissà quale complotto.
Egualmente appaiono del tutto fuori luogo gli epiteti di “boia”, “assassini” e “aguzzini” di cui sono stati gratificati il padre di Eluana Englaro ed i medici che si prendevano cura della donna.
E’ mancato, in molti osservatori, un atteggiamento ispirato ad autentica “pietas”, ed ha prevalso un trincerarsi dietro il rigore, l’intransigenza ed astratti principi.
Da più parti si è sostenuto che, nelle loro decisioni, la Corte di Appello di Milano e la Corte di Cassazione avrebbero esse stesse disciplinato la materia, non regolata dalla legge, ed avrebbero, con ciò stesso, invaso la sfera di attribuzioni propria del potere legislativo.
La tesi, anche se suggestiva, è completamente destituita di fondamento. Stando a quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale, anche di fronte ad una lacuna della norma, il Giudice non può dare una pronuncia di “non liquet”, come nel diritto romano, ma deve decidere “secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. Secondo l’insegnamento della Cassazione, tali principi possono essere espliciti, in quanto formulati da precise disposizioni, ovvero impliciti, in insiemi più o meno ampi di disposizioni, e da essi desumibili.
Ma vi è di più. I due rami del Parlamento, come si ricorderà, si erano rivolti alla Corte Costituzionale, proponendo un conflitto di attribuzioni nei confronti della Corte di Cassazione e della Corte di Appello di Milano, lamentando l’usurpazione e la menomazione delle proprie attribuzioni legislative e, in particolare, il fatto che tali provvedimenti, venendo a stabilire termini e condizioni affinché potesse cessare il trattamento di alimentazione e idratazione artificiale cui era sottoposta Eluana, avrebbero utilizzato la funzione giurisdizionale per modificare, in realtà, il sistema legislativo vigente, così invadendo l’area riservata dalla Costituzione al legislatore.
Tali conflitti di attribuzione, tuttavia, sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale con ordinanza in data 8 ottobre 2008 n. 334. Ha osservato la Corte che il Parlamento, pur escludendo di voler sindacare errores in iudicando, in realtà avanzava molteplici critiche al modo in cui la Cassazione aveva selezionato ed utilizzato il materiale normativo rilevante per la decisione o a come lo aveva interpretato.
Ha osservato, ancora, il Giudice delle leggi che il Parlamento poteva in qualsiasi momento adottare una specifica normativa della materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti.
Ma, come si sa, sul piano giuridico, la vicenda ha avuto un epilogo con il rifiuto del Presidente della Repubblica di firmare un decreto legge che aveva lo scopo di impedire l’attuazione della decisione della Corte di Appello di Milano, fondata sui principi enunciati dalla Corte di Cassazione: ma di tale argomento, che è di non poco rilievo, si parlerà in altra occasione.

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel marzo 2009)

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