martedì 14 settembre 2010

DUE CREMONESI DIMENTICATI, GINO GORLA E PARIDE FORMENTINI

Da qualche anno, Cremona assiste alla stucchevole polemica, che periodicamente riemerge, sull’opportunità di intitolare, o meno, una via al baritono Aldo Protti.
Aldo Protti è stato un grande artista lirico (anche se, probabilmente, non della statura di un Pavarotti o di una Callas). Ma, nella seconda guerra mondiale, combattè dalla parte sbagliata, fu (anche se la circostanza pare non essere sicura) protagonista di atrocità contro i partigiani e, dopo la guerra, non rinnegò mai il suo passato e si impegnò politicamente nell’estrema destra.
In un paese pacificato e senza grandi conflitti politici e sociali, non credo vi sarebbero difficoltà ad intitolare una strada ad Aldo Protti, quale riconoscimento per la sua attività artistica. Probabilmente, nella vituperata prima repubblica, la saggezza democristiana (che sovente faceva del manzoniano “troncare e sopire” un’arte di governo) ci si sarebbe cavati d’impaccio intitolando a Protti una via al Cambonino o al Battaglione, conciliando così la lirica e la Resistenza.
Ma oggi, in un paese spaccato a metà, in cui ogni cosa è oggetto di polemica, questo non è possibile. Anche se talora l’Italia sembra aver smarrito la propria memoria storica, la storia, ha ancora un peso, un grande peso.
Non è ancora giunto il tempo in cui si possa ricordare il Protti baritono, coprendo con la polvere dell’oblio il Protti repubblichino.
Oggi nessuno si scandalizzerebbe se una via fosse intitolata a qualche letterato o musicista dell’Ottocento, politicamente reazionario e ligio all’Imperatore austriaco o al Re borbone. Ma, prima della prima guerra mondiale, a mezzo secolo dalla spedizione dei Mille, non sarebbe stato certamente così.
Ma se non vi fosse lo schermo della letteratura o della musica, anche oggi, a poco meno di un secolo e mezzo dall’unità d’Italia, ben difficilmente posizioni politiche antirisorgimentali potrebbero trovare piena legittimazione toponomastica.
Non credo siano molte, neppure in Lombardia dove operò, le vie intitolate ad un esponente dell’intransigentismo cattolico come don Davide Albertario.
Ma vi sono altri personaggi, oltre al contestato Protti, che a Cremona meriterebbero fosse loro intitolata una via. Mi riferisco a Gino Gorla ed a Paride Formentini.

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Gino (Luigi) Gorla nacque a Crema il 28 dicembre 1906 e si spense a Roma, tra la quiete degli affetti familiari, il 6 luglio 1992.
Studiò giurisprudenza nell’Università statale di Milano ed ivi si laureò nel 1928.
Nell’insieme, Gino Gorla fu, come disse di lui il romanista Giovanni Pugliese nella commemorazione tenuta all’Accademia Nazionale dei Lincei, singolarissima figura di studioso e di uomo.
Per circa vent’anni esercitò la professione di avvocato a Milano, dove ebbe come allievo, e poi successore nello studio, Mario Casella, il quale scrisse di lui che “faceva molto bene l’avvocato perché aveva anche grande senso pratico, ma non voleva farsi catturare dalla professione”.
Professore ordinario di diritto civile a meno di ventotto anni, dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti, fra il 1948 e il 1949, si appassionò sempre di più agli studi comparatistici. Si cancellò dall’albo degli avvocati (lasciando il suo avviatissimo studio a Mario Casella che lo ricordò nel volume “Dica pure, avvocato”, scritto con Cesare Rimini), dedicandosi all’insegnamento universitario, in Italia e all’estero.
Gino Gorla deve essere annoverato tra i massimi giuristi italiani del XX secolo. Certamente è il più innovativo.
Come scrisse di lui Luigi Moccia sulla “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, Gino Gorla fu un grande e amato maestro di tante generazioni di giuristi, per oltre mezzo secolo figura svettante nel panorama della cultura giuridica, in Italia come all’estero, artefice dello sviluppo degli studi di comparazione, ispiratore ed animatore della diffusione di tali studi con la sua infaticabile ed impareggiabile opera di docente e di studioso; massimo teorizzatore ed espositore del metodo storico-comparativo, metodo che l’avrebbe visto impegnato, per tutta la sua vita, in un gigantesco lavoro di ritrovamento e restauro di quel mosaico (per usare una metafora a lui cara), costituito dal “diritto comune europeo” dei secoli dal XII al XIX.

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Figura diversa, ma non meno significativa, è quella di Paride Formentini.
Nacque a Cremona il 12 giugno 1899 da modesta famiglia originaria del Lago Maggiore. Frequentò il circolo “Silvio Pellico”. Si diplomò ragioniere e, dopo aver combattuto sul Grappa (era, dunque, un “ragazzo del ’99”), si laureò in economia a Genova. Maturò poi diverse esperienze professionali in una lunga carriera, movimentata e varia: fu a Berlino, presso la delegazione commerciale dell’ambasciata italiana, collaboratore di Alberto Pirelli nelle trattative per la ristrutturazione del debito di guerra italiano, funzionario del Banco di Roma, vice direttore generale dell’Imi, direttore generale della Stet e poi della Finmare.
La stretta collaborazione con Donato Menichella, che era stato direttore generale dell’Iri prima della guerra ed era dal 1946 direttore generale della Banca d’Italia, giocò probabilmente un ruolo fondamentale nel determinare l’approdo di Formentini all’istituto di emissione.
Il 7 giugno 1947 venne nominato vice direttore generale della Banca d’Italia. Era di fatto il secondo in comando, perché il governatore Einaudi, entrando nel governo, aveva lasciato i suoi poteri al direttore Menichella. Questi subentrò formalmente a Einaudi il 7 agosto 1948; Formentini prese il posto di direttore generale il 18 settembre.
Formentini lasciò l’istituto di emissione il 10 giugno 1959 ed ebbe come successore Guido Carli. Assunse quindi la guida della Banca europea per gli investimenti. La Bei, che era stata istituita nel 1957 dai paesi membri della Comunità europea, aveva il compito di contribuire allo sviluppo delle regioni arretrate, facendo appello al mercato dei capitali. Assunto l’incarico, Formentini trovò l’istituto in una fase ancora embrionale, ed ebbe modo di dargli la sua impronta.
La sede della Banca, inizialmente stabilita a Bruxelles, fu poi trasferita a Lussemburgo. Il mandato del presidente fu rinnovato per un secondo quinquennio.
Nel settembre 1970 Formentini lasciò l’incarico alla Bei.
Dopo una breve esperienza alla guida di un fondo di investimento, si ritirò a vita privata e morì a Lussemburgo il 22 giugno 1976.
Le notizie su Paride Formentini, di cui ben poco conoscevo, le ho tratte dal libro di uno studioso di origine cremonese Alfredo Gigliobianco, storico ed economista, che ha svolto attività di ricerca presso le Nazioni Unite e attualmente lavora nell’Ufficio ricerche storiche della Banca d’Italia. Si tratta del volume “Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia”, pubblicato lo scorso anno da Donzelli.
Il libro, benché scritto da un cremonese e favorevolmente recensito da tutti i principali quotidiani, non ha destato a Cremona alcun particolare interesse.
Probabilmente è stato considerato un libro “palloso”, la cui lettura, al più, può interessare solo i “bamba”, secondo una terminologia oggi in voga.

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In conclusione, una domanda al Sindaco Corada, che è persona di finissima cultura e di grande sensibilità storica. Non crede che Cremona possa dedicare una strada sia a Gino Gorla sia a Paride Formentini?

(articolo pubblicato sul quotidiano "La Cronaca" nel gennaio 2007)

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